"Anatomia del fallimento – Don DeLillo" (www.zooom.it, 2003)

zooom.it - Letture e visioni in Rete

a cura di Nanni Balestrini e Maria Teresa Carbone

2 giugno 2003
ANTEPRIMA

Anatomia del fallimento
di Lino Belleggia

I maestri creano un mondo dai detriti, da quello che gli esseri umani si lasciano dietro nel loro cammino: "l'immondizia è la storia segreta, la storia che sta sotto", afferma Viktor, un dirigente di un'azienda commerciale di Underworld (1997). Osservano con sguardo famelico ciò che li circonda: una donna che si allaccia il cinturino della scarpa appoggiandosi al palo del semaforo nel traffico brulicante, il delirante litigio fra due amanti le cui urla spingono i vicini ad affacciarsi alle finestre, la disposizione oculata dei prodotti sugli scaffali di un supermercato, i cartelloni pubblicitari che sollecitano invadendo lo spazio circostante. Digeriscono informazioni. Elaborano senza nulla lasciarsi sfuggire, poiché conoscono l'importanza decisiva del dettaglio senza cui il mondo della narrazione non potrebbe realizzare quella magica consistenza capace di coinvolgere il lettore. E' un vedere oltre, sotto, dietro, dentro, come l'obiettivo di piccolissime telecamere che, scivolando lungo stretti tubicini, vanno scandagliando un menisco, la trachea, il retto, producendo dati, sfidando la paura della scoperta, la consapevolezza nell'inatteso, il terrore della morte.
"Essendo il mondo - scriveva Ralph Waldo Emerson - posto sotto il controllo della mente attraverso verbo e sostantivo, il poeta è colui che può articolarlo", il poeta "mette occhi e lingua in ogni oggetto muto e inanimato", e soprattutto percepisce "l'accidentalità e fugacità del simbolo". I maestri inventano per intervenire. La loro è un'anatomia, un'analisi sottile e minuziosa della cultura d'appartenenza nella sua totalità, senza mai uscirne, operando dall'interno, rifuggendo sia l'isolamento, diventando l'uomo nella folla, sia pericolosi coinvolgimenti in affiliazioni o influenze, allontanandosi per esaminare. Forse è tutto questo a fare di Don DeLillo un maestro nella narrazione della società contemporanea, quella che l'empireo critico ha scelto di definire 'postmoderna'. "E' tutta questione di saper vedere", dunque, come DeLillo fa dire all'archeologo Owen Brademas di I nomi (1982), tutto sta nel riuscire a guardare la realtà con occhi scevri da sollecitazioni manipolate che falsano la percezione. E allora DeLillo, e con lui i suoi personaggi, cercano di vedere, osservare e capire il mistero celato dietro a quel simulacro della realtà sollevato dalle forze incontrollabili esercitate da imperscrutabili poteri superiori: mass-media, cospirazioni politiche, multinazionali, servizi segreti, armi atomiche, droghe, borsa, tecnologie. Il rumore assordante di questa sinfonia di note dissonanti mina alla base ogni tentativo dei personaggi di DeLillo, non tanto di ribellione, neppure immaginabile, ma anche solo di chiarificazione del ruolo di quella "persona anonima", cui lo scrittore newyorchese dice siano rivolti i suoi romanzi, compromessa nella propria scheggia di realtà storica. Ma la ricerca va avanti lo stesso, senza necessità del sostegno di alcun ideale, religione o fede politica, ormai da tempo corrosi dalle esigenze della società dei consumi: "Se non fingessimo di crederci, il mondo andrebbe a rotoli", dice candidamente una suora a Jack Gladney, il professore di studi hitleriani in Rumore Bianco (1985).
I personaggi dei romanzi di DeLillo sono dei cercatori e dunque dei viaggiatori. Sono lontani discendenti dei famelici cercatori d'oro che nell'Ottocento attraversarono il continente americano alla ricerca di un miraggio, di un sogno. Ma non è più tempo di sogni, né tanto meno di sogni americani, nel caso di DeLillo, perché di America si tratta, non bisogna dimenticarlo, o meglio di Americana come recita il titolo del suo primo romanzo pubblicato nel 1971. Si tratta di simulacri: dell'America non è rimasta che quella versione cui il consumatore è tenacemente legato, appunto americana. La potenza senza rivali, orfana di un nemico che la guerra fredda le aveva assicurato per quarant'anni, e che in Underworld diventa un nostalgico momento di equilibrato ordine: "Noi e Loro", gli americani e i russi laddove "ognuno dei due contribuiva alla completezza dell'altro". Non hanno importanza né l'origine né la natura dell'ordine vigente, ai personaggi di DeLillo sarebbe sufficiente trovare un motivo ricorrente, uno schema, un progetto, una trama, un complotto. Qualsiasi sistema in grado di garantire una sistematica consequenzialità, seppur priva di significato, potrebbe far il loro caso: l'anacronistico mito del viaggio iniziatico alla Kerouac in Americana, il football e il suo rassicurante corpus linguistico in End Zone (1972), il rock e le droghe in Great Jones Street (1973, il Saggiatore), la matematica in Ratner's Star (1974), la cospirazione terroristica in Giocatori (1977), la storia in Libra (1988). Nulla però sembra in grado di resistere all'inconsistenza indotta del mondo contemporaneo, e così ogni anatomia conduce al fallimento, oppure, nella migliore delle ipotesi, al punto di partenza, dunque alla frustrazione.
E la funzione della letteratura? Il ruolo dello scrittore? E che fine hanno fatto gli occhi e la lingua del maestro, di cui parlava Emerson? "L'artista viene assorbito", soprattutto dopo l'11 settembre, e "solo il terrorista resta fuori. La cultura non ha ancora trovato il modo di assimilarlo", dice lo scrittore Bill Gray in Mao II (1991). Quello dei terroristi, continua, è "l'unico linguaggio che l'Occidente comprenda", "la nuova letteratura tragica". E i personaggi? L'eroe? I terroristi sembrano essere "gli unici eroi possibili del nostro tempo" (Mao II), ma il romanziere è ancora pericoloso poiché - dichiara DeLillo - possiede "il potere di estendere l'io, creare un personaggio per svelare la coscienza, aumentare il fluire di significati nel mondo". E nel mondo continuare a lavorare, al "livello della strada", guardare e ascoltare la gente e poi, spiega DeLillo, "tornare a riprodurli in un linguaggio che faccia vedere alle persone più chiaramente. Quel che accade dopo è un mistero".

Romanzi di Don DeLillo citati:

I nomi (1982, pubblicato da Pironti nel 1990, traduzione di Amalia Pistilli)
Rumore bianco (1985, pubblicato da Pironti nel 1987, traduzione di Mario Biondi, e poi da Einaudi nel 1999)
Mao II (1991, pubblicato da Leonardo nel 1992, traduzione di Delfina Vezzoli) Underworld (1997, pubblicato da Einaudi nel 1999, traduzione di Delfina Vezzoli)