note di regia

di Giovanni Nardoni

“…soltanto allargando la sfera dei propri piaceri e delle proprie fantasie, …soltanto sacrificando tutto alla voluttà, quell’essere infelice che chiamiamo uomo, gettato suo malgrado in questo triste universo, può riuscire a spargere qualche rosa tra le spine della propria vita”. (Marchese de Sade, La filosofia nel boudoir)

A volte la vita, con la sua gioia e con le sue forti emozioni, permette ai nostri occhi stanchi di registrare ancora immagini nitide e piene di significati. E così ho sentito, per un momento, la mia anima fluire come le “apparenti, immobili” acque della Loira che accarezzavano e accompagnavano il mio “nuovo amore nascente”! Poi, in un freddo giorno d’inverno, come spesso accade in quei pessimi film americani mandati in onda da Mediaset nei mesi estivi, il risveglio! Un freddo, triste risveglio. La mia vita si trovava di colpo occupata solo da un terribile pensiero: come riuscire ad arginare quel male che mi cresceva dentro, come riuscire a convivere con un indesiderato “ospite”. La mia risposta? Con l’amore! Ma non ci sono riuscito, e un po’ come la protagonista del mio ultimo lavoro, Mme de Merteuil, devastata dal vaiolo, mi ritrovo chiuso in una “realtà incatenante” ad imprecare contro la vita e contro i sentimenti.

               Riportare in scena “Le relazioni” per me è significato immergermi nella realtà schizofrenica di Pierre C. de Laclos e descrivere il “senso dei sentimenti” e l’assurdità dell’amore attraverso una lente deformante che ci lascia solo intravedere “la patinatura” dei personaggi e della vita Settecentesca ma che in realtà “scarnifica” l’essenza stessa dei rapporti, in un gioco sempre in bilico fra la moralità e l’amoralità. Ho voluto parlare del Bene e del sentimento puro dell’amore esaltando il Male e l’egoismo umano. Raccontando attraverso una struttura narrativa quasi filmica, e con l’ausilio dell’ironia e del grottesco, l’affiorare pauroso dell’inconscio e tutte le sue interessanti implicazioni. Laclos, autore e personaggio, si aggira tra il pubblico come una presenza-assenza: un ricordo. Un ricordo di quello che vorremmo o che forse siamo nella nostra vita: vittime e carnefici. Vittime dei nostri sentimenti malati e carnefici di noi stessi attraverso rigidi giudizi morali.

Il pubblico sa, e per questo la struttura narrativa pensata dall’autore, Lino Belleggia, è stata stravolta in una serie di flashback privi di una cronologia narrativa - da cui il sottotitolo “Schegge di memoria”. Il pubblico sa, come sanno Valmont e Mme de Merteuil. Il pubblico conosce l’evoluzione della storia e tutte le sue implicazioni, e si trova così, suo malgrado, ad essere coinvolto in un triangolo perverso e inquietante, nel quale è costretto a sentirsi complice dei due libertini condividendone il medesimo punto di vista. Il pubblico deve venire ingoiato da questo tragico ritmo, come in un’inesorabile discesa all’inferno e deve sentirsi al centro di un labirinto geometrico di vicende e di rapporti dove poi improvvisamente sarà dilaniato dal “Mostro”. Un “Mostro” che ho cercato di dipingere con l’ausilio delle tecniche dei videoclip musicali giocando con un coro jazz - su musiche originali di Bernardo Nardini - i cui cinque elementi, vestiti da suore, commentano e agiscono insieme ai personaggi portando al limite dell’assurdo l’atmosfera drammatica delle “Relazioni”. Le scene di Emanuela Antonini e Alessandra Agresti, e i costumi di Marian Osman Mohamed contribuiscono, con il gioco esasperato delle linee Settecentesche e l’utilizzo di materiali “tecnici” ad immergerci in un mondo non credibile, dove lo spazio si scompone, dove le immagini si riflettono all’infinito nella continua ricerca di una morbosità dichiarata ma mai completamente espressa dalla mente schizofrenica di Pierre C. de Laclos.